Inizio del XVIII secolo

Il passaggio dell'isola nel 1720 ai Savoia portò alla dinastia il titolo regio assieme alla possibilità di sfruttarne le tutte le risorse e da quel momento fu il governo di Torino a prendere tutte le decisioni concernenti la Sardegna: decisioni politiche, culturali, economiche. Un regno, dunque, privo di sovranità e con nessuna rilevanza nei rapporti internazionali tra potenze. 

Ai procuratori era affidato il compito di amministrare utilizzando tutti gli strumenti della pressione della rendita feudale essendo a Torino il potere centrale e in Spagna i titolari dei feudi. Non a caso il senso più profondo della «sarda rivoluzione» consistette nel legame tra sollevazione urbana e moti antifeudali nelle campagne: una vera e propria interazione città-campagna che risultò sconfitta col fallimento della marcia dell'Angioy verso Cagliari. A sconfiggere l'Alternos fu il progressivo costituirsi di una saldatura tra gli interessi della nascente borghesia cittadina e l'aristocrazia feudale isolana contro i ceti subalterni della città e della campagna.

La definitiva e tanto attesa scomparsa, di quel fossile istituzionale che era il Regnum Sardiniae giunse nel 1847. In quell'anno, infatti, i giornali diffondevano nell'isola notizie sulla Lega doganale italiana e sulle riforme attuate in Piemonte, eventi di cui si parlava soprattutto nelle due città di Cagliari e Sassari, dove si trovava la maggior parte degli alfabeti. Nello stesso anno i consiglieri di Cagliari, stabilirono di inviare una deputazione al re, composta dalle prime voci del "vecchio parlamento", per chiedere la "fusione con gli stati di terraferma". La delegazione isolana fu ricevuta con tutti gli onori ed ottenne subito dal re quanto chiedeva, il 30 novembre 1847 è decretata con regio biglietto la perfetta fusione con gli stati di terraferma.

Le prime elezioni parlamentari del 17 e 18 aprile 1848 consegnarono all'isola un piccolo primato anticipando di dieci giorni l'appuntamento elettorale dei restanti territori dello Stato sabaudo. In quegli anni in cui la Sardegna vive prima del resto della penisola l'esperienza democratica emergono tutte le storture e i limiti di una classe politica che, una volta ottenute le cariche politiche a cui ambiva, punta solo al perseguimento dei propri interessi il più delle volte allineandosi alla politica governativa. Ad essere presa di mira dall'opinione pubblica è in particolare la «Camarilla», un gruppo di uomini politici prevalentemente conservatori e appartenenti all'area della destra che viveva di clientelismo e di affari riuscendo a gestire quello che all'epoca non era ancora stato individuato come un «conflitto di interessi».

 

 La Sardegna ai Savoia

Dal 1799 Carlo Emanuele IV di Savoia (sovrano dal 1796) giunge a Cagliari abbandonando il Piemonte invaso dalle truppe Francesi. In questa occasione, vengono decorati coloro che durante gli anni della Rivoluzione rimasero fedeli ai Savoia, tra questi spiccano i nomi di Giacomo Pes di Villamarina e Stefano Manca di Thiesi che ottengono le massime cariche politiche. Viene inaugurata una politica repressiva e creato un clima di restaurazione. 

I segni di riconoscimento di una politica reazionaria si possono leggere nelle cariche: il duca d'Aosta (futuro sovrano Emanuele I dal 1802 al 1821) viene nominato Governatore del Capo di Cagliari; In assenza del sovrano Vittorio Emanuele I che aveva cercato rifugio a Napoli, viene nominato come Vicerè tra il 1799 e il 1806 Carlo Felice, deciso assertore di una politica assolutistica; Reggente la Reale Cancelleria fino al 1802 sarà Joseph de Maistre ideologo del conservatorismo e della reazione. 

A questo si aggiunse un raddoppiato carico fiscale tra cui lo spillatico, tassa che gli Stamenti dovevano alla Regina Maria Teresa.

Le riforme boginiane dell'700 iniziano a dare alcuni timidi risultati con la presenza sul territorio di alcune aziende agrarie disponibili e interessate ad un investimento e ad un'innovazione nelle colture. Nel 1804 nasce la Reale Società Agraria ed economica di Cagliari che aveva il compito di promuovere il dibattito culturale intorno allo sviluppo dell'agricoltura e all'allevamento ed è l'ambito entro il quale nasce nel 1806 l'editto della Nobiltà dell'ulivo.

Sarebbe stato assegnato il titolo di Cavaliere a coloro che avessero recintato una quantità necessaria di terreni e avessero garantito un'ampia coltivazione di ulivi. Si tratta di un provvedimento di carattere sperimentale. Le famiglie che controllavano queste aziende erano esponenti dell'aristocrazia isolana, che lasciati alle spalle i principi rivendicativi della fine del '700 si era allineata ai criteri dell'assolutismo sabaudo che intendeva assecondare soprattutto nell'ambito della realizzazione di una diffusa proprietà privata o "perfetta" .